12.20.2008

ARISTAKISJAN / la vita nuda e cruda

Aristakisyan secondo MENTELOCALE
http://www.mentelocale.it/cinema/contenuti/index_html/id_contenuti_varint_22625


ARTUR ARISTAKISJAN al Laboratorio probabile / La Repubblica

Dalla Moldavia con (pacato) furore. Lezione di cinema, per l' Onda, del critico cinematografico e autore cult di «Fuori orario» Enrico Ghezzi e del regista moldavo Artur Aristakisjan, questa sera, alle 20.30, nell' aula di San Salvatore, in piazza Sarzano. Con proiezione del capolavoro dell' autore, «Mesto ma zemle» («Un posto sulla terra», 2001), due ore e sei minuti di cinema che «non assomiglia a nulla, è Aristakisjan, occupa uno spazio a sé nel cinema russo e mondiale, alternativo nell' accezione di samizdat: in Italia, se vogliamo trovare una corrispondenza, ci sono Ciprì e Maresco», dice Enrico Ghezzi. Solo quattro tappe in Italia, il tour di Aristakisjan, di cui una sola, a Genova, ha deciso di dedicarla all' Onda, alla lotta degli studenti e dei docenti contro i tagli della Finanziaria e il tentativo di scardinamento dell' Università pubblica, come spiega Federico Alberto, studente di Lettere, responsabile del Laboratorio probabile Bellamy, che da tre anni lavora proprio sulla produzione e sulla riflessione cinematografica. Ne è nata una serata-evento, aperta e gratuita a tutta la città: antitelevisivo, amante del Pasolini di «Salò», mette davanti alla macchina da presa non la rappresentazione degli ultimi, ma l' emarginazione in sé e per sé, che diventa proiezione reale di un' emarginazione della coscienza, nel nostro tempo. L' istinto, le sensazioni, lo guidano. E impregnano ogni suo lavoro. Capelli scuri e lunghi, volto solare, anima nera, in cui s' addensano come corvi i dolori di chi riesce a vedere. «Da bambino avevo un sogno, ricorrente: ero un artista e mi portavano a spasso in una gabbia per il paese», spiega il regista ricordando la sua giovinezza passata a Kishiniev, nel sud della Moldavia, in una piccola comunità ebrea, genitori intellettuali, padre armeno. Quarantasette anni, Aristakisjan oggi vive a Mosca e in Italia è appena uscito un cofanetto con le sue due opere «Ladoni» (1994) e «Un posto sulla terra», nella collana Eccentriche Visioni di Ghezzi, realizzato da Ghezzi e Baglivi per la Raro Video Minerva. «Due film entrambi straordinari - spiega Enrico Ghezzi - mi è parso subito, da quando l' ho incontrato al forum del Festival di Berlino nel '94, un cineasta a sé, molto libero. Non ha schemi culturali, preconcetti, è contrario al cinema che fa parte della cultura e alla cultura cinematografica stessa. E non è per niente ossessionato dal fare film a tutti i costi». Ed è un' umanità di disadattati quella che va in scena in «Un posto sulla terra», in una casa semidiroccata di Mosca dove trovano davvero il loro posto gli emarginati dalla metropoli. Sei coppie, sono il fulcro della storia, che praticano l' amore libero, che lottano nonostante tutto per realizzare la propria unità e libertà. Li ha scelti dalla strada, Aristakisjan, i corpi della sua storia, già caricati quell' emarginazione che riesce a raccontare in modo assoluto. «è curioso - prosegue Ghezzi - il cinema di Aristakisjan è molto fisico, corporale. Stridono, urlano, questi corpi, ci sono anche mutilazioni, in «Un posto sulla terra». Ma proprio questa fisicità fortissima, li rivela, invece, come fantasmi». Aristakisjan ripete spesso che il cinema dovrebbe essere fatto per i ciechi: «In tutti noi, in ogni cervello ci sono cellule dormienti. Il cinema, secondo me, deve agire lì, deve svegliare la nostra parte silente. Un mondo antitelevisivo perché la televisione dà l' impressione di vedere, quando invece ti acceca». Lui ha un altro linguaggio, quello della «camera oscura delle sensazioni», dove si formano e si compongono. «Credo che il contributo di Aristakisjan al movimento degli studenti a Genova - conclude Ghezzi - e in generale al mondo sia, più che una sua complessità, la straordinaria intensità. Autonomia e intensità, credo che siano elementi fattori decisivi per gli studenti, impegnati in una sacrosanta lotta, ovvero in una lotta contro l' arretratezza apparente delle lotte stesse; che possono non cedere agli schemi ideologici imposti, giocando/lavorando piuttosto a forme di presenza continuamente inventate».
- MICHELA BOMPANI

12.09.2008

ARISTAKISJAN A GENOVA / presentazione




Martedì 16 dicembre alle ore 20.30
all’auditorium S. Salvatore di Piazza Sarzano in Genova


Studenti, professori, amanti del cinema, cittadini. Tutti sono invitati alla proiezione di
A PLACE ON EARTH (Un posto sulla terra- 2001) b.n. 126’.
Un film di Artur Aristakisjan

Seguirà “lezione di cinema” con
Enrico Ghezzi e Artur Aristakisyan, che gli studenti genovesi dell’Onda sono onorati di ospitare.
È un’occasione irrepetibile. Genova sarà la terza delle quattro date italiane del regista, in Italia, per presentare il cofanetto della RARO VIDEO.

La difesa dell’ Università è un imperativo imprescindibile per gli studenti. L’onda del duemilaotto non nasce da una proposta socio-culturale nuova (vedi il millenovecentosessantotto ), ma da un diritto negato: quello allo studio. L’opposizione alla non-riforma Gelmini ha il volto della sopravvivenza. Solo così si spiega, come gli studenti amano ricordare, l’assoluta indipendenza del movimento. Non ci sono bandiere, né partiti, né rappresentanza. C’è grande confusione sotto il cielo, e l’occasione è ottima, la difficoltà stuzzica la fantasia. L’uomo a cui toglieranno il pane di bocca saprà trovare nuovi modi per procurarselo altrove. Gli studenti che vedono cadere sulle loro teste gli sconsacrati templi del sapere, sapranno come riedificarli? Embrioni di nuove Università nasceranno dalle macerie? Stanno già nascendo. L’esperienza dell’autogestione è in fondo questo: autoaffermazione. Non chiediamo legittimazione agli illegittimi! Ma per proporre (o imporre) servono idee, tenacia e un pizzico di fortuna.
Ci piacciono questi scrittori, questo sistema filosofico, questa interpretazione scientifica.
Bene. Adesso tocca a noi: questa città muore asfissiata sotto il puzzo di vecchiume dei poteri, forti solo nei loro biechi interessi. Genova ha bisogno di ribaltarsi, non saremo noi a farlo: mai ci darete questa possibilità.
L’università è finita, l’Università comincia adesso: il cinema è finito, il cinema comincia adesso:
Ad ogni inquadratura Aristakisjan prende a schiaffi l’italietta delle fiction e degli Ozpetek; la Genova idiota dei meschini e degli interessati. La Genova incagliata: la Genova che è arrivata al fondo.
L’Onda fa la sua prima proposta estetica: un cinema nuovo, insolito, e che non vedrete mai nelle sale cinematografiche mainstream. Un cinema che dà fastidio. Per fare questo, Artur Aristakisjan (Kishiniev, Moldavia, 1961) e gli studenti, presenteranno il film A place on earth. L’appuntamento è per le ore 20.30 di martedì 16 dicembre, presso l’auditorium S. Salvatore di Piazza Sarzano.
Bisogna imparare a vedere ama dire Aristakisjan, affamato osservatore della realtà, che della visione ha fatto un mestiere. Immagini primordiali, pellicole fatte di materia. Autore di due soli film, tanto visionari quanto fastidiosi (Ladoni, 1994; A place on earth, 2001; ora editi nel cofanetto in uscita per la Raro Video-Minerva), incastrati, tra il documentario e la fiction, nella elaborazione di un nuovo modo di vivere e vedere il cinema. Dolore, disillusione, gioia, apertura. Aristakisjan ai margini della società, nell’opera come nella vita, parla di un mondo di mendicanti, di derelitti alla deriva in cerca d’amore. Corpi che nel delirio contro il deserto del mondo non si fanno portatori di nulla: né ideologie, né contro-culture. Tutto è finito, lo scacco è cosmico: da qui inizia la costruzione di quello che non è più eppure non è ancora. Il punto che non c’è (ancora?). Grande scrittore di cinema e pessimo gestore del suo talento, Aristakisjan, ci parla continuamente di sguardi strabici e di difetti della vista: Gesù Cristo diceva che la tragedia degli uomini è quella di esprimere ciò che vedono davanti agli occhi, invece è proprio ciò che non si vede a fare la differenza. Imparare ad accendere gli occhi, spenti davanti al tubo catodico. L’impressione è quella del fastidio (non voglio vedere); e i film di Aristakisjan producono, appunto, rigetto. L’intensità dell’insoddisfazione è la definizione che Enrico Ghezzi - è lui che lo ha fatto conoscere in Italia con Fuori Orario – dà delle pellicole di Aristakisjan.
A place on earth, film senza tempo e fuori luogo, girato in una comunità- setta di Mosca (le sette si riuniscono per fare cinema dice Aristakisjan) è la parabola di una comunità che cerca un rifugio dal mondo dopo che tutto è successo (Ghezzi). Il film è questo: poi tutto il resto, l’essenziale, quello di cui non si può dire. Molto di più! Nessun attore professionista e gli interpreti sono i veri comunitardi (così come nella realtà Aristakisjan fu l’animatore della setta). Centoventisei minuti in bilico tra una finzione che non si distingue più dalla verità; dove la realtà del fuori campo sfonda le pareti dell’inquadratura. Aristakisjan è il cinema che ci piace.



un’ organizzazione
laboratorio probabile bellamy
MOVIMENTO UNIVERSITARIO- Genova


Con la collaborazione di
MINERVA RARO VIDEO
e
NOELTAN FILM STUDIO- Potenza

GENOVA FILM COMMISSION


11.16.2008

Stafano Benni in cattedra


da LA REPUBBLICA
Benni in cattedra, la fantasia al potereRepubblica
09 novembre 2008
GENOVA Se una mattina d' occupazione uno scrittore. Stefano Benni arriva a Balbiquattro prima di molti studenti, con un quarto d' ora d' anticipo, ieri mattina, alle 10 e un quarto. Un cespuglio di capelli bianchi, un lungo pastrano nero stropicciato, le mani in tasca, un sorriso leggero di chi entra in casa d' altri. I ragazzi dell' Onda lo siedono in cattedra, nell' aula M, accanto al cumulo di sacchi della Coop con le derrate per l' occupazione, e alla lavagna con l' elenco dei nomi di chi dorme, a turno, sera dopo sera, in Facoltà. E Benni, che ha già incontrato gli studenti a Pisa e a Bologna, comincia subito, con un gioco. Il gioco dei verbi all' infinito. "Imparare". «Vi state ribellando a un tentativo, in corso, di rendere misera la cultura in Italia, tentativo condotto sia dai governi di destra sia, seppur in misura minore, da quelli di sinistra. Nella cultura imperante della semplificazione, voi siete i secchioni e i somari sono loro: è quella ministra che dice "egìda", che usa i congiuntivi come fa Gasparri, che pensa di risolvere i centinaia di episodi di disagio con il 5 in condotta». L' aula M è gonfia, l' Onda sembra la compagnia dei Celestini. Qualcuno è uscito da poco dal sacco a pelo, nelle aulette lì a fianco, si beve il caffè, c' è un silenzio affettuoso intorno alle parole di Benni. "Comunicare". Si è sempre fatto un errore, spiega, dai "suoi" Sessantotto e Settantasette ai più recenti «pantere, panterine, giaguaretti: scoppiare sulla comunicazione. Si partiva in mille, si rimaneva in trecento: e i settecento perduti? Non hanno capito, si è sempre detto. Voi dovete andare a prendervi, uno per uno, quelli che non riescono a capire. Spiegate cosa state facendo. Ci sono quelli contro il movimento, e va bene. Ma dovete convincere i molti che non sanno». Cita il pittore Francis Bacon, «bisogna scegliere tra la sensazione e lo spettacolo» e dice ai ragazzi di continuare sulla strada che hanno scelto, quella delle sensazioni. E trovare un modo, come per lui fu Radio Alice e le radio libere, per comunicare meglio, al di fuori del circo mediatico. E la generazione You Tube risponde che sì, meglio ritornare nei mercati, per la strada, parlare con le persone: l' Onda sta crescendo così e forse così si salverà. "Essere responsabili". «Ero a Roma, per caso, in piazza Navona, quel giorno degli scontri. Ne ho visti di scontri, nella mia vita, anche se non ho mai partecipato, perché sono un mite e non mi piacciono. E' stato un piccolo episodio, una scaramuccia: cosa è successo invece? Per una settimana i media non hanno più parlato del movimento. Dovete essere responsabili delle cose che decidete di fare, dovete prendervene carico». "Durare". «Le uniche cose che mi piacciono sono quelle durevoli. Non mi piace il concerto del 1° maggio, perché è un evento. Emergency dura. Perché ciò che davvero dà fastidio al potere è ciò che permane, non la manifestazione che si consuma con una battaglia di numeri. Se siete in 30.000 in piazza e vi dicono che siete in tremila, voi rispondete «siamo in trecento». La vostra durata è il vostro obiettivo». Si scaglia contro la tv «che odio, è la nostra miseria», professa un saldo credo nei libri e nel loro potere di risveglio delle coscienze assopite. «Ho incontrato Berlusconi in piazza Navona - dice - e io ero in disparte, ma come diceva Baudelaire "si sognano patiboli, fumando la pipa"», e Benni parte con la parabola esilarante del grembiulino. «Il grembiulino ha la stessa radice del razzismo, è la paura della diversità. E loro lo indossano già. Berlusconi e le sue 50 guardie del corpo. Quelli bassi davanti, con lui, quelli alti dietro. Una squadra di boy-scout cibernetici, tutti vestiti uguali». «Tenetevi pronti, abbiate i nervi saldi - ritorna serio, con una raccomandazione da cattivo maestro - credo che giocheranno in maniera scorretta. Voi dovete avere la serenità delle vostre idee. A noi lanciarono molte provocazioni, voi non raccoglietele». Uno studente cita la "Tristalia" di Benni, «L' allegria e l' umorismo devono essere le vostre armi in questo triste paese, in cui Berlusconi è convinto di far ridere dicendo che Obama è "abbronzato". E' patetico chi cerca di far ridere e invece dice volgarità. Berlusconi dovrebbe essere quello che è, torvo nel fondo dell' anima. Sarebbe più simpatico». Cossiga, invece, è simpatico: l' unico, dice Benni. «Anche se non so da quali inferi arrivi il suo senso dell' umorismo». E' un ping pong di idee, tra l' Onda e lo scrittore che nel Sessantotto «un po' partecipavo, un po' lo contestavo, ero anarchico intimista»: fuori, di fronte a lui, c' è lo striscione: "Se non ora, quando? Se non qui, dove? Se non noi, chi?". Sono vent' anni, dice Benni, che vi descrivono un futuro che non esiste, avete un compito difficile e una strada in salita da fare: «Risvegliare le coscienze. Sarà un battaglia lunga: ci rivediamo qui tra dieci anni». - MICHELA BOMPANI





Stefano Benni all'Università di Genova

dal Il Manifesto

GENOVA «La sfida dell'Onda è ora quella di resistere a lungo»Assemblea a Lettere occupata con BenniAlessandra FavaGENOVA
Resistete a lungo, solo così darete fastidio al potere; create delle forme di informazione alternativa; parlate agli altri studenti, specie quelli che non la pensano come voi: sono questi i consigli di uno che ha fatto il '68 e il '77 («non le considero medagliette ma esperienze»). Uno come Stefano Benni. Ieri mattina alle dieci era nell'aula M della facoltà occupata di Lettere per incontrare gli studenti, invitato dal gruppo del Laboratorio probabile, cogliendo l'occasione tra le prove de «L'ultima astronave» ieri sera al teatro dell'Archivolto e rinunciando all'ennesima visita all'Acquario. In queste settimane è stato in quattro atenei per capire e parlare. Prima considerazione: voi volete cultura e questo fa emergere che i somari sono dall'altra parte. «Voi dite vogliamo studiare di più e così fate emergere come l'Italia sia diventata più ignorante. La destra ha come obiettivo di rendere gli italiani più ignoranti e la sinistra veltroniana ha come compito di non farli vergognare di esserlo». Quindi primo consiglio (Benni non userebbe mai questa parola, «mi pare d'avere cent'anni»): comunicare. «Tante pantere, panterini e giaguari si sono persi. Invece bisogna cercare il più possibile di convincere gli altri studenti che non capiscono o hanno paura. Non con gli spot. Gli spot li fanno gli altri. Voi dovete impegnarvi in un corpo a corpo quasi erotico con uno che non la pensa come voi». Insomma, come diceva Francis Bacon, bisogna scegliere tra sensazione e spettacolo. E sembra di risentire alcune poesie benniane: «Non esiste la neutralità delle idee, ci sono alcuni che hanno idee, altri che hanno paura delle idee, alcuni non hanno idee per niente», snocciola Benni in facoltà. Dei giornalisti, «ce ne sono di bravissimi e di pessimi», meglio non curarsi. «La cosa migliore è trovare forme di comunicazione alternativa come facemmo con le radio. Io trasmettevo a Radio Alice, poi Radio città. Oggi ci saranno altre forme che dovete pensare voi». E una ragazza propone di andare sui bus e per la strada a parlare con la gente, che è quello che hanno fatto l'altro ieri con un drago gigante, lavavetri, spazzini, toghe e battitori di bugiardini come il «Gelmidol, supposte effervescenti». Ma prima di tutto continuare, «è l'unica cosa che dà fastidio al potere. Se ci rivediamo tra un anno vuole dire che è stata veramente un'onda. I grandi concerti tipo primo maggio sono grandi eventi con piccolissima forza politica, mentre per voi l'unica cosa che spero è che duri»'. Consapevoli che le provocazioni non mancheranno: «Piazza Navona è stata una scaramuccia ingigantita dai giornali, ma tenete i nervi saldi, giocheranno in modo scorretto e arriveranno momenti molti meno sereni di questo».